I due anni rappresentano una tappa molto significativa nello sviluppo di un bambino: si parla dei “terribili due anni” perché le parole più usate da quasi tutti i bambini di quell’età sono “no”, “io” e “faccio da solo”, che rappresentano perfettamente l’esigenza di affermare la propria identità e autonomia. In questa fase solitamente i bambini raggiungono il culmine nel processo di separazione / individuazione dalla mamma iniziato intorno ai sei mesi e hanno bisogno, in un certo senso, di opporsi ai genitori per affermare la propria individualità.
Allo stesso tempo, come nelle altre fasi di sviluppo e ancora di più, continuano ad avvertire il bisogno di sentirsi protetti dai genitori. Sarà presente, pertanto, una forte ambivalenza fra il bisogno di autonomia e quello di protezione / rassicurazione: è proprio questa ambivalenza che potrebbe determinare delle regressioni nel sonno, ovvero un aumento dei risvegli notturni e/o dei tempi di addormentamento serale, anche in bambini che avevano “imparato” ad addormentarsi tranquilli nel proprio lettino.
Quegli stessi bambini iniziano, apparentemente senza una ragione, a:
- fare i “capricci” per andare a dormire la sera.
- svegliarsi più spesso del solito e richiedere nuovamente la presenza del genitore o anche di passare il resto della notte nel lettone con la mamma e il papà.
Chiaramente i genitori di fronte a questo comportamento apparentemente inspiegabile possono sentirsi molto confusi: perché il loro bambino, che di giorno a volte quasi li respinge quando cercano di aiutarlo ad infilarsi le scarpe, la sera sembra improvvisamente impaurito all’idea di essere lasciato da solo nel proprio lettino e non ne vuole più sapere di lascarsi andare al sonno?
Per i genitori l’ambivalenza può risultare difficile da tollerare: è un continuo alternarsi di “vai via” e “aiutami”. Può essere più facile affrontarla se diventano consapevoli del difficile percorso che stanno vivendo i loro figli. I bambini, infatti, sentono che stanno diventano grandi e desiderano conquistare sempre maggiori autonomie; allo stesso tempo, tuttavia, crescere fa paura, perché inevitabilmente e inconsapevolmente si chiedono: “Se divento grande…mamma e papà mi vorranno ancora bene? Per loro sarò ancora il loro piccolino da proteggere?”.
Non dimentichiamoci, inoltre, che stanno conoscendo un mondo del tutto nuovo per loro (pensiamo a noi se ci ritrovassimo in un paese straniero) che li attrae molto, ma allo stesso tempo li spaventa, perché non sanno bene cosa aspettarsi e potrebbero esserci pericoli nascosti da tutte le parti!
Cosa fare allora?
È importante che i genitori cerchino di mostrarsi pazienti, anche accogliendo se possibile le richieste di maggiori rassicurazioni, ad esempio acconsentendo a dare più coccole al momento dell’addormentamento oppure a farli tornare a dormire nel lettone. Spesso i genitori si chiedono se in questo modo non si corra il rischio di innescare abitudini che non erano intenzionati a dare al proprio bambino. In realtà, se si tratta solo di una richiesta di maggiore protezione dovuta alla “fatica” di crescere, il fatto di dare risposta a tale bisogno favorisce un aumento del senso di sicurezza del bambino e, di conseguenza, delle sue autonomie. In questa fase, infatti, i bambini hanno ancora più bisogno del solito di sapere che troveranno un porto sicuro se si sentiranno impauriti o in balia degli eventi.
Al contrario, è più rischioso non riconoscere il bisogno del bambino e spronarlo a comportarsi da “bambino grande”: in un certo senso, potrebbe essere come chiedergli di fare un salto nel vuoto senza paracadute…è un’immagine forte, ma può rappresentare bene il senso di insicurezza che prova.
Le regressioni, anche quelle dei due anni, se affrontate con consapevolezza e serenità da parte dei genitori e delle altre figure che ruotano intorno al bambino, rappresentano realmente una fase passeggera, che può durare al massimo qualche settimana.
Se invece le richieste aumentano, oppure durano oltre un mese, potrebbe essersi innescata qualche altra dinamica e in quel caso è opportuno approfondire la situazione con un’indagine mirata: i bambini, infatti, spesso esprimono con i comportamenti regressivi le difficoltà che non riescono a comunicare a parole.
Biancamaria Acito
Psicologa dello sviluppo e esperta di sonno